Timidezza: problema o risorsa ?

Poco meno della metà delle persone, soffre o ha sofferto di problemi legati alla timidezza, questa caratteristica che dovrebbe essere considerata come una normale componente caratteriale, in una società come al nostra, legata a canoni di ricerca di perfezione e successo, rischia di diventare fonte di malessere se chi ne soffre manifesta una crescente difficoltà nello stare in mezzo agli altri, sino ai giungere a casi estremi di isolamento sociale.

La persona timida nelle situazioni in cui sta a disagio tende a diventare con facilità rossa in viso, comincia a sudare, ha il battito cardiaco accelerato, vive in uno stato d’ansia e ha la tendenza ad evitare situazioni sociali perché si sente inadeguato e costantemente al centro dell’attenzione.

La comparsa di questo disagio avviene in due importanti momenti dello sviluppo: l’infanzia o l’adolescenza. Rispetto all’infanzia sono state analizzate delle caratteristiche comuni presenti nella famiglie di persone timide.

 

 

IL RUOLO DELLA FAMIGLIA

E’ stato riscontrato che è fondamentale il rapporto tra genitori e figli nei primi anni di vita e in base a ciò sono state individuate alcune situazioni familiari che possono favorire l’origine della timidezza:

1) Dei genitori timidi e introversi, perché cresciuti in assenza di modelli di socializzazione sufficienti o hanno sofferto di atteggiamenti svalutativi da parte di uno o di entrambi i genitori, con critiche e derisioni continue, contribuiscono a creare un senso di insicurezza e inadeguatezza all’interno della propria famiglia riproponendo il modello appreso.

2) Dei genitori troppo protettivi e ansiosi, perché diffidenti rispetto a ciò che più avvenire dall’esterno senza la loro supervisione, non riescono a trasmettere la sicurezza di cui i bambini hanno bisogno per affrontare le situazioni sociali. Questa iper-protezione comporta che mentre in famiglia i figli si sentono sicuri perchè protetti dalle figure di riferimento, appena escono fuori dal loro ambiente queste sicurezze vengono a mancare e provano disagio e insicurezza nel confronto con l’esterno.

3) Dei genitori rigidi e severi, non riescono a creare un clima in cui l’emotività può essere espressa liberamente perché assumono una funzione persecutoria. I figli non trovando questo clima emotivo facilitante, non riescono ad aprire un dialogo con i genitori verso cui si sentono insicuri e timidi, e ripropongono nelle relazioni sociali questa stessa modalità, per paura del giudizio esterno.

Durante la crescita, se queste situazioni elencate non hanno dato nessun segnale di malessere, il disagio può emergere in adolescenza. Questo periodo è molto delicato perché avviene il cambiamento corporeo che non procede parallelamente a quello psicologico, l’adolescente si sente spesso inadeguato in un corpo adulto, perde le sicurezze apprese in precedenza, e cambia il punto di riferimento, non più i genitori ma il gruppo dei pari e le certezze acquisite in famiglia assumono un connotazione differente. I coetanei diventano gli interlocutori più importanti tanto che il rapporto con loro può influenzare le sfera scolastica, sportiva e affettiva, ed essere timidi può esser vissuto come un problema. Pur non essendo una malattia, la timidezza è un disturbo che può creare un disagio notevole e nei casi più gravi può portare a delle complicazioni psicologiche e spingere ad utilizzare delle sostanze come alcol o droghe per poter diventare più disinibiti, apparire più sicuri, ed essere riconosciuti dal gruppo dei pari.

 

Le qualità del timido sono numerose e per questo andrebbero evidenziate e rivalutate in continuazione:

•parla poco ed è capace di ascolto e di empatia perché la sua tendenza a restarsene in ombra ne fa spesso un attento osservatore;

•la preoccupazione di nascondere all’interlocutore il minimo segno di insofferenza o di tensione lo rende un buon lettore degli stati d’animo altrui;

•in ambito scolastico, la sua discrezione e il suo desiderio di fare bene sono spesso apprezzati dai professori;

•il desiderio di essere amato e approvato ne fa una persona attenta alle esigenze dei altri ed è spesso disposto a sacrificarsi per far star meglio gli altri, etc….

Queste e molte altre qualità possono emergere col tempo, infatti con il raggiungimento della maturazione psico-fisica ed affettiva, la conquista di un buon livello di autonomia ed infine la consapevolezza delle proprie possibilità, cresce la propria autostima e la timidezza non viene più vissuta come un problema e superata.

 

LA PAURA DI ARROSSIRE

Per molte persone arrossire può essere un’esperienza molto sgradevole, tanto temuta, al punto di diventare una paura ossessiva, una fobia: l’ereutofobia (o eritrofobia).

Si tratta di un fenomeno molto comune che consiste nella modificazione della colorazione della pelle del viso, a causa della sua irrorazione sanguigna. E’ un sintomo involontario e incontrollabile, che non può essere riprodotto a comando (se non, forse, ripensando ad una sensazione particolarmente imbarazzante vissuta in passato, che produce ancora i suoi effetti nel semplice ricordo).

Ciò che amplifica questa esperienza è la consapevolezza del rossore del proprio viso e dunque del messaggio corporeo che si sta inviando all’esterno: la paura di essere giudicati male, criticati o ridicolizzati dagli altri a causa di questo rossore è essa stessa causa di rossore. A cosa serve arrossire? Difficile da dire. 

Il rossore al viso non si capisce molto. Il primo che cercò  di capire questa stranezza fu Darwin.

Il fenomeno in realtà non riguarda solo il viso: il flusso sanguigno si estende infatti anche alle orecchie, al collo, alla parte superiore del torace. Il significato del rossore è in genere quello dell’imbarazzo. Dal punto di vista fisiologico il fenomeno è spiegato dall’aumento repentino della quantità di sangue nei vasi superficiali dilatati della zona del viso. 

Darwin (1872) riteneva che l’arrossire fosse dovuto ad un focus di attenzione su se stessi, mentre gli stati mentali che lo producevano erano la timidezza, la vergogna, la modestia. Un’altra considerazione interessante di Darwin è che scatena l’arrossamento del viso non tanto il riflettere sul proprio aspetto, quanto il pensiero di ciò che gli altri possano pensare di noi.

Altri sostengono che l’arrossire sia prodotto da un’attenzione sociale indesiderata.

Leary et al. (1992) hanno proposto quattro situazioni che suscitano l’arrossire:

a) le minacce all’identità pubblica: come le violazioni delle norme, le prestazioni insoddisfacenti, la perdita di controllo e il comportamento fuori ruolo

b) sentirsi controllati e al centro dell’attenzione

c) lodi e attenzione positiva

d) accuse di arrossire.

 

L’ansia di arrossire è correlata con la fobia sociale / disturbo d’ansia sociale.

Una parte sostanziale delle persone che cercano una terapia per curare questo sintomo soffrono di fobia sociale.  (Crozier, 2006). Drummond (1997) e Mulkens et al. (1999) hanno trovato scarsa relazione tra le misure fisiologiche dell’intensità del rossore e la percezione di quel rossore, nelle persone appositamente messe in situazioni di imbarazzo durante uno studio. Altri studi hanno riscontrato differenze fisiologiche tra le persone con ansia scarsa o elevata sulla possibilità di arrossire.

Questo significa che l’ansia gioca un ruolo fondamentale nell’acuire il fenomeno.