“SUICIDIO: UN’ ANALISI PERSONALE” – Fattori di rischio, il punto di vista di Shneidman e il dolore mentale insopportabile, il fattore della crisi economica, il ruolo della psicologia e psicoterapia.

Per suicidio (dal latino sui caedere, uccidere sé stessi) si intende l’atto attraverso il quale una persona si procura deliberatamente la morte.

Il suicidio è quindi il gesto autolesionisti più estremo.

I comportamenti associati al suicidio includono:

  • Suicidio completato: quando il soggetto ha effettivamente intenzione di morire e riesce a portare a termine il suo piano.
  • Tentativi di suicidio: comportamenti auto-inflitti potenzialmente dannosi che però non conducono ad un esito letale, sebbene l’intenzione del soggetto sia quella di morire.
  • Autolesione: atto deliberato auto-inflitto potenzialmente dannoso a prescindere dal motivo per cui viene messo in atto.

Alcuni numeri del suicidio

Il suicidio è la dodicesima causa di morte nel mondo. A livello mondiale si colloca fra le tre principali cause di morte per le persone di età compresa tra i 15-44 anni, insieme agli incidenti stradali e alle malattie cardiovascolari.

 

I FATTORI DI RISCHIO DEL SUICIDIO

 

La patologia psichiatrica è una condizione necessaria ma non sufficiente per il suicidio. 

Una piccola parte dei soggetti che si tolgono la vita non presentano sintomi psichiatrici prima della morte.

Come fattori determinanti, in testa alla classifica troviamo:

  • la depressione, 
  • la perdita di speranza nei confronti di se stessi, del mondo e del futuro e 
  • la presenza costante di un sentimento di disperazione  

La persona depressa può vedere nel suicido l’unica strategia di coping possibile per fronteggiare il proprio dolore.

  • I conflitti familiari, 
  • la mancanza di un impiego e 
  • la presenza di malattie 

sono altri fattori di rischio che conducono a credenze irrazionali come essere un peso per la propria famiglia o essere un componente sacrificabile.

 

Desiderio di morire e capacità di suicidarsi

Tuttavia, il desiderio di morire non è sufficiente a produrre un tentativo dagli esiti letali. Qui, infatti, entra in gioco la capacità di suicidarsi, che si compone anche di quelle esperienze di sensibilizzazione tese a diminuire la paura dei comportamenti suicidari (ad es., pregressi episodi di autolesionismo).

 

IL PUNTO DI VISTA DI SHNEIDMAN, PSICOLOGO STATUNITENSE ( 1918-2009 )

Per Shneidman  l‘ingrediente base del suicidio è il dolore mentale insopportabile , che chiama psychache(Shneidman 1993a), che significa “tormento nella psiche”. 

Shneidman suggerisce che le domande chiave possono essere rivolte ad una persona che vuol commettere il suicidio sono: 

“Dove senti dolore?” e 

“Come posso aiutarti?”.

Lo psicologo statunitense considera che le fonti principali di dolore psicologico hanno origine dai bisogni psicologici frustrati e negati.

Potremmo dire che si tratta della frustrazione di bisogni vitali, questi bisogni psicologici includono: 

  • il bisogno di raggiungere qualche obiettivo come  affiliarsi ad un amico o ad un gruppo di persone, 
  • ottenere autonomia, 
  • opporsi a qualcosa, 
  • imporsi su qualcuno e 
  • il bisogno di essere accettati, compresi e ricevere conforto.

Shneidman (1996) ha inoltre  suggerito che il suicidio è meglio comprensibile se considerato non come un movimento verso la morte ma come un movimento di allontanamento da qualcosa che è sempre lo stesso: emozioni intollerabili, dolore insopportabile o angoscia inaccettabile, in breve psychache. 

Nella concettualizzazione di Shneidman (1996) il suicidio è il risultato di un dialogo interiore; la mente passa in rassegna tutte le opzioni per risolvere un certo problema che causa sofferenza estrema. 

Emerge il tema del suicidio e la mente lo rifiuta e continua la verifica delle opzioni. Trova il suicidio, lo rifiuta di nuovo; ma alla fine, fallite tutte le altre possibilitá, la mente accetta il suicidio come soluzione, lo pianifica, lo identifica come l’unica risposta, l’unica opzione disponibile.

L’individuo sperimenta uno stato di costrizione psicologica, una visione tunnel, un restringimento delle soluzioni normalmente disponibili. 

 

Emerge il pensiero dicotomico, ossia il restringimento del range delle opzioni a due soli rimedi: 

1- avere una soluzione specifica o totale (quasi magica) oppure 

2- la cessazione (suicidio). 

pensiero dicotomico

 

Il suicidio è meglio comprensibile non come desiderio di morte,

ma in termini di cessazione del flusso delle idee,

come la completa cessazione

del proprio stato di coscienza e

dunque

risoluzione del dolore psicologico insopportabile

(Pompili, 2008b). 

 

 

 

RIGUARDO AL DISAGIO ECONOMICO 

Le ricerche che hanno prodotto dati sul fenomeno, sembrano concordare nell’attribuire alla disoccupazione uno dei ruoli antecedenti il suicidio. 

La perdita del lavoro o l’impossibilità a trovarne uno, tuttavia, sono solo due tra gli elementi di una lista piuttosto lunga.

 

In altri termini, la perdita del lavoro sarebbe associata a un rischio molto elevato negli individui vulnerabili.

Che cos’ha un uomo nella testa, prima di fare l’ultimo passo? 

Secondo una teoria interpersonale, sarebbero tre le variabili psicologiche che spingono al suicidio: 

1- la percezione di non appartenenza senza speranza di cambiamento, 

2- la convinzione di essere definitivamente un peso per gli altri, 

3- un basso timore della sofferenza fisica e della morte.

 

Quando la disperazione accompagna la mancanza di appartenenza ( 1 ) e la percezione di essere un peso ( 2 ) , allora il desiderio di suicidarsi diventa più attivo (“Voglio uccidermi”).

 

 

E LA PSICOLOGIA, PSICOTERAPIA: CHE RUOLO HANNO ?

Il compito è assemblare protocolli psicoterapeutici in grado di modificare stabilmente gli stati mentali prossimi l’ideazione suicidaria.

Prima modalità:

Fornire maggiori informazioni possibili alla popolazione sulle patologie mentali e sulle terapie per:  

  • riduzione il pregiudizio nei confronti della patologia mentale; 
  • riduzione del pregiudizio esistente nei confronti delle figure operanti nell’ambito della salute mentale (psichiatri, psicologi, psicoterapeuti), con conseguente promozione del contatto con questi professionisti in caso di bisogno; 
  • sensibilizzazione dei medici di base nei confronti della problematica del suicidio; 
  • elaborazione di un codice di condotta per la diffusione di informazioni concernenti comportamenti suicidari da parte dei mass-media al fine di evitare l’induzione di comportamenti di questo tipo.

Seconda modalità:

La seconda modalità di intervento è indirizzata a coloro che si trovano in una situazione di rischio e che quindi si sono già rivolti ad un professionista o a uno dei tanti centri di crisi sparsi nel mondo. In questo caso è importante effettuare una diagnosi in base alla quale viene stabilita un’adeguata psicoterapia ed eventualmente farmacoterapia.

 

Bibliografia

 

Pompili M. La psicoterapia del dolore mentale dei soggetti a rischio di suicidio. In: “Il suicidio e la sua prevenzione”.  Tatarelli R, Pompili M (eds.). Fioriti Editore,Roma, 2008.

Shneidman ES. Autopsy of a suicidal mind. Oxford University Press, New York, 2004.